Taverna del Teatro
a Savigliano
"No, non disturbatevi, restate sulla sedia,
Signori mi presento, sono la commedia.
Non son fatto di ossa ma di atti
Che vi lascino rimborsati o soddisfatti
Il mio cuore è chiamato trama
Gente che si odia e che si ama,
Il mio sangue è tutto ciò che accade
Dal bacio, al duello con le spade,
Il mio cibo è il vostro battimani,
Il veleno, gli attori cani.
Io sono la commedia e mi divido in atti
Per raccontare a voi gli straordinari fatti
Di questi cavalieri e della loro dama
Di chi crede di amar
E di chi invece ama.[...]
Ma l'ora dei preamboli è finita
È l'ora che si vada ad incominciare
A tessere la trama e poi l'ordito
A svolgere, cucire e ricamare;
Che squillino le trombe signori spettatori
Inizia la commedia, che parlino gli attori.”
— Edmond Rostand, Cyrano de Bergerac, 1897
La nostra storia
La Taverna del Teatro è nata tra le mura di un palazzo di via Teatro, a Savigliano, molti anni prima che il suo attuale gestore Simone venisse al mondo.
“La Taverna non appartiene a qualcuno,
ma è chi entra da quella porta e resta sotto quel soffitto a cassettoni,
chi sale quei tre gradini e si accomoda al suo interno,
chi cucina nel suo ventre ed accoglie gli avventori,
che appartiene alla Taverna.”
La Taverna del Teatro è parte dell’anima di una grande città e di ogni suo cittadino, un punto di ritrovo per chi si vuole bene e per chi si incontra per la prima volta, una garanzia per chi ha fame di cose buone e per chi assaggia il “Piemonte” per la prima volta.
Un pezzo importante della storia di Savigliano ed un omaggio al suo teatro.
Potremmo elogiare a lungo il luogo che che sentiamo così a noi caro, ma preferiamo lasciare a voi il compito di giudicare.
O di farvi semplicemente accogliere da lei, dalla Taverna.
Alla Taverna del Teatro, beviamo.
Nessun poema è mai stato scritto da un bevitore di acqua.
Alla Taverna del Teatro, mangiamo.
Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se prima non ha mangiato bene.
Alla
Taverna del Teatro, cantiamo.
“Che cos'è l'amor
Chiedilo alla porta
Alla guardarobiera nera
E al suo romanzo rosa
Che sfoglia senza posa
Al saluto riverente
Del peruviano dondolante
Che china il capo al lustro
Della settima Polàr”